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dell'impero romano cap xlviii. | 197 |
tica l’aprire una tomba o un monastero alla figlia di Costantino; ma Lecapeno non avea, per quanto pare, nè i vizi, nè le virtù d’un tiranno. Svani nello splendore del trono il valore e l’attività della sua vita privata; tuffatosi nel fango delle voluttà, pose in non cale la sicurezza della Repubblica, non che della propria famiglia; ma religioso e mite di naturale, rispettò la santità dei giuramenti, l’innocenza del giovine Costantino, la memoria di Leone, e l’affetto del popolo. Il genio che avea Costantino per gli studii e pel ritiro potè disarmare la gelosia d’autorità; i libri e la musica, la penna e il pennello erano le sue continue ricreazioni; e se impinguò di fatto la scarsa sua entrata colla vendita de’ suoi quadri, senza che se ne aumentasse il valore pel nome dell’artista, ebbe bastevoli talenti coi quali pochi principi potrebbero, come lui, formarsi un sussidio nelle avversità.
[A. D. 945] I vizi condussero Romano e i suoi figli alla rovina. Morto Cristoforo, il primogenito, gli altri due, discordi fra loro, cospirarono alla vita del padre. Sull’ora del mezzodì, ch’era il momento della giornata nel quale si congedavano dal palazzo i forestieri, entrarono quelli nel suo appartamento, accompagnati da gente armata, e nel menarono vestito da monaco nella isoletta della Propontide, dove stava una Comunità religiosa. Allo strepito di questa rivoluzione domestica fu piena di confusione la città; ma Porfirogenito, legittimo Imperatore, fu il solo oggetto delle cure del Pubblico; e da una tarda esperienza impararono i figli di Lecapeno, che aveano mandato ad effetto per un rivale il colpevole e pericoloso disegno. Elena, lor sorella, e moglie di Costantino,