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i sensi che gli dovette inspirare un tal momento, ma non è probabile che li abbia esternati. Nei primi mesi del suo reggimento, coperse i suoi disegni con una maschera d’ipocrisia, che poteva ingannare soltanto la moltitudine. Fecesi l’incoronazione d’Alessio colla solita pompa, e il perfido suo tutore, tenendo in mano il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, dichiarò che vivrebbe, e ch’era pronto a morire pel suo diletto pupillo. Raccomandavasi intanto ai numerosi partigiani di sostenere, che l’Impero che ruinava non poteva che perire sotto il regime d’un fanciullo; che soltanto un principe esperimentato, audace in guerra, abile nella scienza del governo, e ammaestrato dalle vicissitudini della fortuna, potea salvare lo Stato, e che tutti i cittadini doveano costringere il modesto Andronico a caricarsi del peso della corona. Fu tenuto anche il giovine Imperatore d’unire la sua voce alle acclamazioni generali, e di chiedere un collega, che non tardò a deporlo dal grado supremo, a imprigionarlo, e a provare alla fine la veracità di quella imprudente asserzione del Patriarca, che potevasi tenere Alessio come estinto dal momento ch’ei verrebbe affidato al suo tutore. Con tutto ciò la sua morte fu preceduta dalla prigionia, e dalla condanna di sua madre. Dopo avere il tiranno macchiata la fama dell’Imperatrice Maria, ed eccitate contro lei le passioni della moltitudine, la fece accusare e giudicare di una rea corrispondenza col Re d’Ungaria. Lo stesso figlio d’Andronico, giovine pieno d’onore e d’umanità, confessò l’orrore che gl’inspirava quell’atto odioso, e tre dei giudici ebbero il merito di preferire la loro coscienza alla propria sicurezza; ma gli altri, sottomessi alle vo-