Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/87

Da Wikisource.

dell'impero romano cap xlvii. 81

Barbari. Un picciol numero di Pagani, tuttavia nascosti tanto nelle classi più costumate, quanto nelle più rozze della società erano odiati dai Cristiani, ai quali forse non piaceva, che veruno straniero fosse testimonio delle lor liti intestine. Fu nominato Inquisitor della fede un Vescovo, il quale non tardò a svelare alla Corte, ed alla città magistrati, giureconsulti, medici, sofisti, sempre adetti alla superstizione dei Greci. Venne loro intimato positivamente di eleggere, senza indugio, o di spiacere a Giove od a Giustiniano, poichè non sarebbe più permesso ai medesimi di celare l’avversione che avevano per l’Evangelo sotto la scandalosa maschera dell’indifferenza, o della pietà. Il patrizio Fozio fu probabilmente il solo, che si mostrasse fermo di vivere e di morire come i suoi antenati; con un colpo di pugnale si tolse alla servitù, e lasciò al Tiranno il miserabile piacere di esporre ignominiosamente agli sguardi del Pubblico il cadavere di colui, che avea saputo fuggirgli di mano. Gli altri suoi fratelli, meno coraggiosi, si sottomisero al Monarca temporale. Ricevettero il Battesimo, e s’ingegnarono con uno zelo straordinario di cancellare il sospetto, o d’espiare il delitto della loro idolatria. Nella patria d’Omero, e nel teatro della guerra troiana covavano le ultime faville della greca mitologia: per opera del Vescovo stesso, o sia Inquisitore, di cui ragionammo testè, si trovarono, e furono convertiti settantamila Pagani nell’Asia, nella Frigia, nella Lidia, e nella Caria. Si fabbricarono novantasei chiese per li Neofiti; e la pia munificenza di Giustiniano somministrò i lini, le Bibbie, le liturgie, e i vasi d’oro e d’argen-