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passeggiera loro residenza sulle sponde orientali del Volga. Nell’inverno discendevano coi loro greggi ed armenti verso la bocca di quel gran fiume; e le loro estive correrie giungevano fino alla latitudine di Saratoff, o forse all’unione del Kama. Tali per lo meno erano i moderni confini dei Calmucchi neri1, che rimasero per circa un secolo sotto la protezione della Russia, e che sono di poi ritornati alle native loro sedi sulle frontiere dell’Impero Chinese. La marcia ed il ritorno di quei Tartari vagabondi, il campo riunito dei quali è composto di cinquantamila tende o famiglie, serve a schiarire le distanti emigrazioni degli antichi Unni2. È impossibile riempire quell’oscuro intervallo di tempo, che scorse da che gli Unni del Volga furono perduti di vista dai Chinesi, fino al comparire che fecero agli occhi dei Romani. V’è qualche ragione però di sospettare, che quella medesima forza, che tratti gli aveva dalle native lor sedi, sempre continuasse a spinger la lor marcia verso le frontiere del-

    Corte del gran Kan) osservò il nome speciale di Ungheria coi vestigi d’una lingua ed origine comune. Hist. des Voyag. Tom. VII. p. 269.

  1. Bell (Vol. I. p. 29-34), e gli Editori dell’Istoria Genealogica (p. 539) hanno descritto i Calmucchi del Volga nel principio del presente secolo.
  2. Questa gran transmigrazione di 300000 Calmucchi o Torguti seguì l’anno 177l. l’original narrazione di Kien-Long, Imperatore della China regnante, che fu fatta per servir d’inscrizione ad una colonna, è stata tradotta dai Missionari di Pekino: Memoir. sur la Chine Tom. I. p. 401-418. L’Imperatore affetta in essa il dolce e specioso linguaggio di figlio del Cielo, e di padre del suo popolo.