Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/289

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dell'impero romano cap. xxvii. 285

mo che le lor conventicole non abbiamo più ad usurpare la rispettabil denominazione di Chiese. Oltre la condanna della divina giustizia, debbono aspettarsi di soffrir le severe pene, che la nostra autorità, guidata da celeste sapienza, crederà proprio d’infligger loro1„. La fede d’un soldato è comunemente il frutto dell’istruzione, piuttosto che della ricerca; ma siccome l’Imperatore teneva sempre fissi gli occhi su’ termini visibili dell’ortodossia, ch’egli aveva sì prudentemente stabiliti, le religiose opinioni di lui non furono mai alterate dagli speciosi testi, dai sottili argomenti e dalle ambigue formule dei dottori Arriani. Una volta, in vero, dimostrò qualche debole inclinazione a conversare coll’eloquente e dotto Eunomio, che viveva in ritiro ad una piccola distanza da Costantinopoli; ma fu impedito il pericoloso congresso dalle preghiere dell’Imperatrice Flaccilla, che tremava per la salute del marito; e restò confermato l’animo di Teodosio, mediante un argomento teologico, adattato alla più rozza capacità. Egli aveva dato di fresco ad Arcadio, suo maggior figlio, il nome e gli onori d’Augusto; ed i due Principi stavano assisi sopra un magnifico trono a ricever l’omaggio de’ loro sudditi. Un Vescovo, Anfilochio d’Icone, s’accostò al trono, e dopo d’aver salutato con la dovuta riverenza la persona del suo Sovrano, trattò il real giovanetto coll’istessa famigliar maniera, che avrebbe potuto usare verso un fanciullo plebeo. Il Monarca, ir-

  1. Cod. Teod. lib. XVI. Tit. I. leg. 2. col Comment. del Gotofredo Tom. VI. p. 5-9. Tale editto meritava le più alte lodi del Baronio: auream sanctionem, edictum pium et salutare. Sic itur ad astra.