Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/313

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dell'impero romano cap. xxvii. 309

di disprezzo; aveva rinunziato al privato suo patrimonio; e vendè senza esitare i vasi sacri per riscattare degli schiavi. Il Clero ed il popolo di Milano erano attaccati al loro Arcivescovo, ed ei meritava la stima senza sollecitare il favore o temere il disgusto de’ suoi deboli Sovrani.

[A. 385] Era naturalmente appoggiato il governo d’Italia e del giovane Imperatore a Giustina sua madre, donna dotata di beltà e d’ingegno; ma che in mezzo ad un popolo ortodosso avea la disgrazia di professare l’eresia Arriana, che essa procurava d’instillare nell’animo del figlio. Giustina era persuasa che un Imperator Romano potesse, nei propri dominj, pretendere l’esercizio pubblico della sua religione; e propose all’Arcivescovo, come una moderata e ragionevol domanda, ch’ei le rilasciasse l’uso d’una sola Chiesa o nella città o nei sobborghi di Milano. Ma la condotta d’Ambrogio era diretta secondo principj molto diversi1. Potevano invero nel suo sistema appartenere a Cesare i palazzi della terra; ma le Chiese erano case di Dio; e dentro i limiti della sua diocesi, egli solo, come legittimo successor degli Apostoli, era il Ministro divino. I privilegi sì temporali che spirituali del Cristianesimo erano ristretti ai veri credenti; ed Ambrogio godeva, che le teologiche sue opinioni fossero il modello della verità e dell’ortodossia.

  1. La rappresentazione, ch’egli stesso fa dei suoi principj e della sua condotta (Tom. II. ep. XX. XXI. XXII. p. 851-880), è uno dei più curiosi monumenti d’antichità ecclesiastica. Essa contiene due lettere a Marcellina sua sorella con una supplica a Valentiniano, ed il discorso de Basilicis non tradendis.