Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/325

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. xxvii. 321

si lasciavan persuadere a seguir lo stendardo o a rispettar le frontiere d’un attivo e generoso Monarca; e gli stati di Teodosio, dall’Eufrate sino all’Adriatico, risuonavano sì per terra che per mare de’ preparativi di guerra. Parve che la buona disposizione delle forze orientali ne moltiplicasse il numero, e distraesse l’attenzione di Massimo. Aveva egli ragion di temere, che uno scelto corpo di truppe sotto il comando dell’intrepido Arbogaste dirigesse la marcia lungo le rive del Danubio, ed arditamente penetrasse per le Province della Rezia nel centro della Gallia. Fu equipaggiata nei porti della Grecia e dell’Epiro una potente flotta coll’apparente disegno che, dopo di avere aperto il passo con una vittoria navale, Valentiniano e sua madre sbarcassero nell’Italia, senza dilazione passassero a Roma, ed occupassero la sede maestosa della Religione e dell’Impero. Intanto Teodosio medesimo alla testa d’un valoroso e disciplinato esercito s’avanzava incontro al suo indegno rivale, che dopo l’assedio d’Emona aveva piantato il suo campo nelle vicinanze di Scizia, città della Pannonia ben fortificata dal largo e rapido corso del Savo.

[A. 388] I veterani che tuttavia si ricordavano della lunga resistenza e del successivo risorgere del tiranno Magnenzio, si preparavano forse a’ travagli di tre sanguinose campagne. Ma la contesa col successore di esso, che come egli aveva usurpato il trono dell’Occidente, restò facilmente decisa nel termine di due mesi1, e dentro lo spazio di dugento miglia. Il superior genio dell’Imperatore orientale potè prevalere

  1. Vedi Gotofred. Cronol. delle leggi Cod. Theod. T. I. p. XCIX.