Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/341

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dell'impero romano cap. xxvii. 337

stiana; arditamente dichiara, ch’egli stesso ed ogni vero fedele avrebbe ardentemente disputato al Vescovo di Callinico il merito del fatto e la corona del martirio, e si duole ne’ termini più patetici, che la esecuzione della sentenza sarebbe stata fatale alla fama ed alla salvazione di Teodosio. Poichè questo privato avvertimento non produsse immediatamente l’effetto, l’Arcivescovo pubblicamente dal pulpito1 diresse il discorso all’Imperatore sul Trono2, nè volle offrir l’oblazione dell’altare, finattantochè non ebbe ottenuto da Teodosio una solenne e positiva dichiarazione, che assicurasse l’impunità del Vescovo e dei Monaci di Callinico. Fu sincera la ritrattazione di Teodosio3; e nel tempo della sua residenza in Milano continuamente andò crescendo l’affetto, che avea verso d’Ambrogio per l’abitudine di una pia e famigliare conversazione.

Quando Ambrogio seppe la strage di Tessalonica, il suo spirito fu ripieno d’orrore e di angustia. Ritirossi alla campagna per soddisfare il proprio dolore, e per evitar la presenza di Teodosio. Ma siccome

  1. Il suo discorso è una strana allegoria della verga di Geremia, di un albero di mandorle, della donna che bagnò ed unse i piedi di Cristo: ma la perorazione è diretta e personale.
  2. Hodie, Episcope, de me proposuisti. Ambrogio lo confessò modestamente; ma con forza riprese Timesto, Generale di Cavalleria e d’infanteria, che aveva ardito di dire, che i Monaci di Callinico meritavan d’esser puniti.
  3. Ma cinque anni dopo, essendo lontano Teodosio dalla spirituale sua guida, tollerò gli Ebrei, e condannò la distruzione delle loro sinagoghe. (Cod. Teod. l. XVI. Tit. VIII. leg. 9 col comment. del Gotofredo Tom. VI. p. 225).