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338 storia della decadenza

l’Arcivescovo era persuaso, che un timido silenzio lo avrebbe renduto complice del misfatto, rappresentò in una privata lettera l’enormità del delitto, che non potea cancellarsi che mediante le lacrime della penitenza. L’Episcopal vigore d’Ambrogio fu temperato dalla prudenza, e si contentò d’indicargli1 una specie di scomunica indiretta, assicurandolo, che era stato avvertito in visione di non offerire il sacrifizio in nome o in presenza di Teodosio; ed avvisandolo, che si limitasse all’uso delle preghiere, senz’ardire d’accostarsi all’altare di Cristo, o di ricevere la santa Eucarestia con quelle mani che erano tuttavia contaminate dal sangue di un innocente popolo. Era l’Imperatore profondamente agitato dai propri rimproveri e da quelli del suo padre spirituale; e dopo d’avere pianto le dannose ed irreparabili conseguenze del suo precipitoso furore, si dispose a fare, giusta l’usata forma, le sue devozioni nella Chiesa maggiore di Milano. Fu egli arrestato nel vestibolo dall’Arcivescovo, che col tuono e col linguaggio di un Ambasciatore del Cielo, dichiarò al suo Sovrano, che la contrizione privata non era sufficiente a purgare un delitto pubblico, o a soddisfar la giustizia dell’offesa Divinità. Teodosio umilmente rappresentò, che se egli aveva commesso il delitto dell’omicidio, David, che era l’uomo secondo il cuore di Dio, era stato non

  1. Ambros. Tom. II. Ep. 51 p. 997-100l. 1a sua lettera è una miserabile cantilena sopra un nobil soggetto. Ambrogio sapeva meglio operare, che scrivere. Le sue composizioni sono prive di gusto o di genio, senza lo spirito di Tertulliano, la copiosa eleganza di Lattanzio, il vivace sapere di Girolamo o la grave energia di Agostino.