Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/368

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364 storia della decadenza

nisti compiangevano in esso l’abuso dall’ingegno e l’inefficacia delle morali virtù1. L’oratore, la domanda del quale all’Imperatore Valentiniano tuttavia sussiste, sapeva le difficoltà ed il pericolo dell’uffizio che s’era addossato. Egli evitò con cautela ogni argomento, che potesse apparir relativo alla religione del suo Sovrano; umilmente dichiarò, che le uniche sue armi eran le preghiere e le suppliche; e trasse le sue ragioni artificiosamente dalle scuole della rettorica piuttosto che da quelle della filosofia. Simmaco procurò di sedurre l’immagine del giovane Principe con lo spiegar gli attributi della Dea della Vittoria; egli insinuò che la confiscazione delle rendite dedicate al servizio degli Dei, era un ordine indegno del generoso e disinteressato carattere dell’Imperatore; e sostenne, che i sacrifizi Romani sarebbero stati privi della forza ed energia loro, se non si fossero più celebrati a spese ed in nome della Repubblica. Anche lo scetticismo stesso potè somministrare un’apologia alla superstizione. Il grande ed incomprensibil segreto dell’universo, egli diceva, elude le ricerche dell’uomo. Dove non può istruire la ragione, si può permettere che guidi l’uso; e sembra che ogni nazione segua i dettami della prudenza, mediante un fedele attaccamento a quei riti ed a quelle opinioni, che hanno ricevuto l’approvazione dei secoli. Se quei secoli si son veduti coronati di gloria e di prosperità, se il devoto popolo ha frequentemente ottenuto i benefizi,

  1. Come se uno dice Prudenzio, (in Symmach. I. 639), scavasse la terra con un istrumento d’oro e d’avorio. Anche i Santi, e i Santi polemici, trattan questo nemico con rispetto e civiltà.