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382 storia della decadenza


I tempj del Romano Impero erano abbandonati o distrutti; ma l’ingegnosa superstizione dei Pagani tentava d’eludere le leggi di Teodosio, dalle quali era severamente punito qualunque sacrifizio. Gli abitanti della campagna, la condotta dei quali era meno esposta agli occhi della maliziosa curiosità, coprivano le religiose loro adunanze colle apparenze di conviti. Nei giorni delle feste solenni, s’univano in gran copia sotto l’estesa ombra di alcuni alberi sacri; si uccidevano ed arrostivan bovi e pecore, e questo rurale convito era santificato dall’uso dell’incenso e dagl’inni, che si cantavano in onor degli Dei. Ma si adduceva, che siccome non s’offeriva bruciando alcuna parte dell’animale, nè v’era l’altare per ricevere il sangue, e s’aveva cura d’ommetter la precedente oblazione delle torte salate, e la final ceremonia delle libazioni, queste festive adunanze non inducevan nei convitati la colpa nè la pena d’un illegittimo sacrifizio1. Qualunque si fosse la verità dei fatti, o il merito della distinzione2 furon tolti di mezzo questi vani pretesti dall’ultimo editto di Teodosio, che mortalmente ferì

    La stessa misura dell’inondazione, e per conseguenza del cubito, è durata uniforme fino dal tempo d’Erodoto. Vedi Freret nelle Mem. de l’Acad. des Inscr. Tom. XVI. 344-353. Greaves Oper. miscellan. vol. I. p. 233. Il cubito Egiziano è circa ventidue pollici del piede Inglese.

  1. Libanio, (pro Templis p. 15. 16. 17) difende la loro causa con delicata ed insinuante rettorica. Fino dai più antichi tempi avevano tali feste ravvivato la campagna; e quelle di Bacco (Georg. II. 380) avevan prodotto il teatro d’Atene. Vedi Gotofredo ad Liban. e Cod. Teod. VI. p. 284.
  2. Onorio tollerò queste rustiche feste, an. 309. Absque ullo sacrificio, atque ulla superstitione damnabili. Ma nove