Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/387

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dell'impero romano cap. xxviii. 383

la superstizion dei Pagani1. Questa legge proibitiva s’esprime nei termini più assoluti ed estesi. „È nostra volontà e piacere (dice l’Imperatore) che nessuno dei nostri sudditi, o sieno magistrati o privati cittadini, comunque sublime o basso esser possa lo stato e condizion loro, ardisca in qualunque città o in qualunque luogo venerare un idolo inanimato col sagrifizio d’innocenti vittime„. L’atto di sacrificare e la pratica della divinazione per mezzo delle viscere della vittima si dichiarano (senz’alcun riguardo all’oggetto di tali ricerche) delitti di tradimento contro lo Stato, che non si possono espiare, se non con la morte del reo. I riti della superstizione Pagana, che potevano sembrar meno sanguinosi ed atroci, sono aboliti come altamente ingiuriosi alla verità ed all’onore della religione; vengono specialmente enunciati e condannati i lumi, l’incenso, le ghirlande, e le libazioni di vino; e sono inclusi in questa rigorosa condanna gl’innocenti diritti del Genio domestico, e degli Dei Penati. L’uso di alcuna di queste profane ed illegittime ceremonie sottopone il delinquente alla confiscazione della casa, o del fondo, in cui si è fatta; e se maliziosamente ha scelto il luogo d’un altro pel teatro della sua empietà, è condannato a pagare senza dilazione, una grave pena di venticinque libbre d’oro, che sono più di mille lire sterline. Viene imposta una pena non meno considerabile alla connivenza di quei segreti

    anni dopo credè necessario di rinnovare ed invigorire la stessa costituzione. Cod. Teod. l. XVI. tit. X. leg. 17. 19.

  1. Cod. Teod. l. XVI. Tit. X. leg. 12. Jortin (Osserv. sull’Istor. Eccl. vol. IV. p. 134) censura con asprezza lo stile ed i sentimenti di questa intollerante legge.