Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/389

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dell'impero romano cap. xxviii. 385

gue; ed i martiri di Giove o d’Apollo abbracciato avrebbero la gloriosa occasione di sacrificare le proprie vite e sostanze a piè dei loro altari. Ma zelo così ostinato non era conforme alla libera e negligente natura del politeismo. I violenti e replicati colpi de’ Principi ortodossi perderonsi nella molle e cedente materia, contro la quale eran diretti; e la pronta obbedienza dei Pagani li difese dalle pene e dalle multe del Codice Teodosiano1. Invece di sostenere, che l’autorità degli Dei era superiore a quella dell’Imperatore, essi desisterono con un lamentevole mormorio, dall’uso di quei sacri riti, che il loro Principe avea condannato. Se qualche volta furon tentati da un impeto di passione o dalla speranza di non esser scoperti a secondare la favorita superstizione, l’umile pentimento loro disarmava la severità del Magistrato Cristiano, e rade volte ricusavano di purgare la propria temerità col sottomettersi, con qualche segreta ripugnanza, al giogo dell’Evangelio. Eran piene le Chiese d’una sempre crescente moltitudine di quest’indegni proseliti, che per motivi temporali s’erano uniformati alla religion dominante; e nel tempo, che devotamente imitavano la positura, e recitavan le preci dei Fedeli, soddisfacevano la lor coscienza mediante la tacita e sincera invocazione degli Dei dell’antichità2. Se i Pagani non avevan pazienza di sofferire, mancava loro anche il coraggio di resi-

  1. Orosio l. VII. c. 28. p. 537. Agostino (Enarr. in Ps. 140. ap. Lardner Testim. Pag. volum. IV. p. 458.) insulta la lor codardia; Quis eorum comprehensus est in sacrificio (cum his legibus ista prohiberentur) et non negavit?
  2. Libanio (pro Templis. p. 17. 18.) fa menzione dell’accidentale conformità di quest’ipocriti, come d’una scena teatrale, senza censurarla.