Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/410

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fatta nell’adunanza dei Vescovi1 intervenuti alla sua consacrazione tessè un elogio eccellente a quel grande Arcisvescovo, ragionando delle virtù episcopali, che egli poteva apprender da esso; tra le quali e’ parrebbe che l’alterezza, l’invidia, l’emulazione e l’orgoglio tanto meno si potessero annoverare, quanto più debbono i Vescovi rassomigliarsi al divino Pastore e Maestro mansuetissimo ed umil di cuore.

Sarà poi almen vero, che Gregorio per l’alto concetto, che avea di se stesso, ricusasse il governo di Sasima e di Nazianzo, ed accettasse quello della nuova Capital dell’Impero? Per verità fino ai dì nostri si era creduto, che il Nazianzeno avesse cercato mai sempre di ascondersi agli occhi degli uomini, a segno tale da venirgli imputato da taluno a delitto2 un soverchio amore per la solitudine. Da questo amore si ripetevano unicamente le acerbe querele fatte all’amico sul Vescovado di Sasima, a cui aveva sovente3 manifestato il suo disegno di ritirarsi totalmente dal Mondo, morti che fossero i suoi genitori, e da cui ne aveva riscossi dei segni di approvazione. Ci confermava in tale opinione il leggere nella mentovata Orazione4, che Gregorio, quanto maggiori lumi acquistava, tanto più si alienava coll’animo dalle dignità della Chiesa, che tutte riputava sublimi per timore di esserne indegno, o di addivenirne superbo, e cadere come Saulle: ben persuasi di non poter ritrovare miglior testimone dei sentimenti del Nazianzeno, tranne colui ch’è il

  1. S. Greg. Naz. Orat. 7.
  2. Tillem. Mem. Eccl. T. IX. p. 558. Du Pin. 656.
  3. Carm. I. p. 7.
  4. Or. VII. p. 142-43. etc.