Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/135

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dell'impero romano cap. xxxi. 129

varsi in Roma una considerabile quantità di ricchezza, o in moneta corrente dell’Impero, o in oro ed argento lavorato; ed al tempo di Plinio v’erano molte tavole, che contenevano più argento di quello che Scipione trasportò dalla vinta Cartagine1. La maggior parte de’ nobili, che scialacquavano i propri beni in un prodigo lusso, si trovavano poveri in mezzo alla ricchezza, ed oziosi in un perpetuo giro di dissipazione. Venivano continuamente soddisfatti i lor desiderj dal lavoro di migliaia di mani, dalla numerosa serie de’ loro domestici schiavi, su’ quali agiva il timor del castigo, e dalle varie specie di artefici e di mercanti, che con maggior forza eran mossi dalla speranza del guadagno. Gli antichi erano privi di molti comodi della vita, che si sono inventati, o accresciuti dal progresso dell’industria; e la copia del vetro e de’ panni lini ha sparso più comodi reali fra le nazioni moderne d’Europa di quel che i Senatori di Roma potessero trarre da tutte le più raffinate maniere d’un sensuale e splendido lusso2. La magnificenza ed i costumi di essi

    torità del Grisostomo e d’Agostino, che a’ Senatori non era permesso dar del denaro ad usura. Pure apparisce dal Codice Teodosiano (Vedi Gotofred., ad lib. II. tit. XXXIII. Tom. I. p. 230, 289) che si concedeva loro di prendere il sei per cento, o la metà dell’interesse legale, e quel ch’è più singolare, tal permissione accordavasi a’ giovani Senatori.

  1. Plinio, Hist. Nat. XXXIII. 50. Egli, determina l’argento a sole 4380 libbre, che sono accresciute da Livio (XXX. 45) fino a 100,023. La prima somma pare troppo piccola per una opulenta città, e l’altra troppo grande per qualunque tavola privata.
  2. L’erudito Arbuthnot (Tavole d’antiche monete, p. 153) ha osservato graziosamente, ed io credo con verità, che Au-