Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/243

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ramente dimostra, che l’odio e l’ingiustizia gli aguzzan lo stile1.

Quanto poi fosse ben radicato negli animi dei Regolatori spirituali della Chiesa Affricana il rispetto per l’autorità del Sovrano in tale affare, non si può meglio comprendere, che dagli atti del V. Concilio Cartaginese, in cui così decretarono2: = Instant etiam aliae necessitates a religiosis Imperatoribus postulandae, ut reliquias idolorum per omnem Affricam jubeant penitus amputari... et templa eorum, quae in agris, vel in locis abditis constituta NULLO ORNAMENTO sunt, jubeantur omnino destrui =. L’idolatria a dispetto di tante leggi si manteneva ostinata nelle campagne dell’Affrica, si trattava di tempj di nessun ornamento, i Cristiani si traevano a forza da quei Gentili ai loro infami spettacoli, ed ai conviti, nei quali si abbruciavano incensi, e si cantavan degl’inni ad onore dei falsi numi; e tutto ciò non ostante quei Padri non operaron a capriccio, come forse avevano operato i Conti Giovio e Gaudenzio nel cuor di Cartagine poco prima, i quali non erano certamente nè Monaci, nè Vescovi3; ma consultarono riverentemente l’oracolo dei Cesari non solo per i tempj di nessun pregio, ma per gl’idoli stessi. E posto ciò, come è mai verisimile, che osassero quei Vescovi di aver per costume di attaccare i più bei monumenti d’Architet-

  1. At qui Amasidis crepitum, adventum asinorum furis, utrum incrementum... commemorasset, certo videri potest illa non incuria, aut contemtu praeterivisse pulchre facta, atque dieta, sed quod quibusdam male vellet, essetque in co injurius. Plutarc, loc. cit. p. 852. lin. 1.
  2. Can. 3, 4, 5, 6. Vedi Gotofr. T. 6. C. Theod. p, 328.
  3. S. Agost., De Civ. D. L. 18. C. ult.