Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/247

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suae custos1 fosse direttore e motor di rapine, e se ei fosse sostenuto dal soccorso di miracolosa potenza, o dall’armi corporali. E dov’è poi l’imprudente miracolo di quell’Apostolo delle Gallie? Quelle contrade eran piene di adoratori degl’Idoli2: era lontano Martino non meno di cinquecento passi da una turba di uomini rusticani, che portavano il cadavere di un Gentile al sepolcro: scorgeva intanto dei lini agitati dal vento, e gli era nota d’altronde la lor costumanza di recar follemente in giro con bianchi veli le false loro divinità3. Eravi adunque tutto il motivo di sospettare, che quel funerale superstizioso4 fosse una processione idolatrica. Come adunque tacciar d’imprudente un Vescovo destinato a schiantare l’errore ed il vizio, se fatto il segno di Croce comanda ad una turba sospetta di arrestare il cammino per sincerarsi di ciò che ella faccia, e sinceratosi, le permette di proseguirlo? Che se piacque all’Altissimo, rendendo immobili quei Pagani, di glorificare il suo nome e il suo Servo con uno di quei prodigi, che la sua provvidenza destinò specialmente alla conversione degl’infedeli5, chi è il Sig. Gibbon, che voglia farla da economo all’Onnipotente medesimo!

  1. Sulp., Dial. 2. p. 109. = e Dial. 3. p. 143. Nos Ecclesia et pascat et vestiat, dummodo nihil nostris usibus quaesisse videamur = così pensava ed operava quel Santo. Vedi p. 8. de V. B. Mart.
  2. Et vece ante Martinum pauci admodum, imo fere nulli in illis regionibus Christi nomen receperant = Sulp. de V. B. M. p. 20.
  3. Sulp., V. B. Mart. pag. 18, 19.
  4. Questo è l’epiteto datogli da Sulpizio.
  5. I. Ad Corinth. 14, 22. Signa autem infidelibus, non