Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/473

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dell'impero romano cap. xxxvi. 467

ed attiva perseveranza. I boschi del monte Atlante gli somministrarono un’inesauribile quantità di legname; i suoi nuovi sudditi si abilitarono nelle arti della navigazione, e della costruzion delle navi; esso animò gli arditi suoi Vandali ad abbracciare una maniera di combattere, che avrebbe renduto qualunque paese marittimo accessibile alle loro armi; i Mori e gli Affricani furono adescati dalla speranza della preda; e dopo un intervallo di sei secoli, le flotte, che usciron dal porto di Cartagine, aspirarono di nuovo all’Impero del Mediterraneo. Le prosperità de’ Vandali, la conquista della Sicilia, il sacco di Palermo, ed i frequenti sbarchi sulle coste della Lucania risvegliarono, e misero in moto la madre di Valentiniano, e la sorella di Teodosio. Si formarono alleanze, e si prepararono dispendiosi ed inefficaci armamenti per la distruzione del comun nemico, che riservava il proprio coraggio ad affrontar que’ pericoli, che la sua politica non poteva impedire o evitare. Furono sconcertati più volte i disegni del Governo Romano dalle artificiose dilazioni, ambigue promesse, ed apparenti cessioni di lui; e l’interposizione del Re degli Unni, formidabile suo confederato, richiamò gl’Imperatori dalla conquista dell’Affrica alla cura della domestica lor sicurezza. Le rivoluzioni del Palazzo, che lasciaron l’Impero d’Occidente senza difensore, e senza legittimo Principe, sgombrarono i timori, e stimolarono l’avarizia di Genserico. Equipaggiò esso immediatamente una numerosa flotta di Vandali, e di Mori, e gettò l’ancora alla bocca del Tevere circa tre mesi dopo la morte di Valentiniano, e l’innalzamento di Massimo al trono Imperiale.

[A. 455] Si citò spesse volte la vita privata del Senatore Pe-