Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/501

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dell'impero romano cap. xxxvi. 495

Non si risguardavano più i monumenti della Consolare o Imperial grandezza come un’immortal gloria della Capitale; non erano stimati, che come una miniera inesausta di materiali più a buon mercato, e più atti di quelli che si estraevano da lontane cave. Si facevano continuamente a’ facili Magistrati di Roma delle speciose richieste, con le quali si esponeva la mancanza di pietre o di mattoni per qualche opera necessaria: i più bei pezzi d’architettura venivano barbaramente deturpati per causa di qualche insignificante o pretesa riparazione, ed i degenerati Romani, che convertivano tali spoglie in proprio loro guadagno, demolivano con sacrileghe mani le opere de’ loro Antenati. Maioriano, che più volte avea sospirato sulla desolazione della città, pose un rigoroso freno al male, che andava crescendo1. Riservò egli solamente al Principe ed al Senato la cognizione degli estremi casi, che potevan giustificare la distruzione d’un antico edifizio; impose una pena di cinquanta libbre d’oro (due mila lire sterline) ad ogni Magistrato, che avesse ardito d’accordare tale illegittima o scandalosa

  1. Tutto l’editto (Novell. Majorian. tit. VI. p. 35) è curioso. Antiquarum aedium dissipatur speciosa constructio: et ut aliquid reparetur magnae diruuntur. Hinc iam occasio nascitur, ut etiam unusquisque privatum aedificium construens per gratiam iudicum..... praesumere de publicis locis necessaria et transferre non dubitet. Con uguale zelo, ma con minor potere il Petrarca nel decimo quarto secolo ripetè le stesse querele (Vit. del Petrarca Tom. I. p. 326, 327). Se io proseguo quest’istoria, non mi dimenticherò della decadenza e della rovina della città di Roma, interessante oggetto, a cui si limitava in principio il mio disegno.