Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/551

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dell'impero romano cap. xxxvi. 545

giudizi, che vi volle ardire e penetrazione per iscuoprire l’estrema facilità dell’impresa. Lo sfortunato Augustolo dovè servir d’istrumento alla propria disgrazia; ei notificò al Senato la sua rinunzia; e quell’assemblea, nell’ultimo suo atto d’ubbidienza ad un Principe Romano, continuò ad affettare lo spirito di libertà, e le formalità della costituzione. Fu scritta, per unanime loro decreto, una lettera all’Imperator Zenone, genero e successor di Leone, che ultimamente, dopo una breve ribellione, era di nuovo salito sul Trono Bizantino. Solennemente „disapprovano essi la necessità, o anche il desiderio, che più si continui la successione Imperiale in Italia; mentre, secondo il loro giudizio, la maestà d’un solo Monarca è sufficiente ad occupare e difendere, nell’istesso tempo, sì l’Oriente, che l’Occidente. In nome loro, e del Popolo acconsentono, che sia trasferita da Roma a Costantinopoli la sede dell’Impero universale; e bassamente rinunciano al diritto d’eleggere il loro Signore, unico vestigio che restava di quell’autorità, che aveva dato leggi al Mondo. Dicono, che la Repubblica (ripetono essi tal nome senza rossore) poteva sicuramente confidare nelle civili e militari virtù d’Odoacre; ed umilmente fanno istanza, che l’Imperatore l’investa del titolo di Patrizio, e dell’amministrazione della Diocesi d’Italia„. I Deputati del Senato furono ricevuti a Costantinopoli con qualche segno di disgusto e d’irritamento; e quando furono ammessi all’udienza di Zenone, questi rinfacciò loro severamente il trattamento fatto ai due Imperatori, Antemio e Nipote, che l’Oriente avea l’un dopo l’altro accordato alle preghiere dell’Italia. „Il primo (proseguì egli) è stato da voi