Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/553

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dell'impero romano cap. xxxvi. 547

rico: il nome d’Augusto, nonostante la gelosia della potenza, in Aquileia si riconosceva come un cognome famigliare; ed i nomi de’ due gran fondatori della città, e della monarchia, si unirono per tal guisa stranamente nell’ultimo de’ loro successori1. Il figlio d’Oreste prese e disonorò i nomi di Romolo Augusto; ma il primo fu convertito in Momillo da’ Greci, ed il secondo si è cangiato da’ Latini nello spregevol diminutivo d’Augustolo. Si risparmiò la vita di questo innocente giovane dalla generosa clemenza d’Odoacre, che lo fece uscire con tutta la sua famiglia dal palazzo Imperiale, gli assegnò l’annua rendita di seimila monete d’oro, e la villa di Lucullo nella Campania per luogo del suo esilio o ritiro2. Appena i Romani poteron respirare da’ travagli della guerra Punica, furono attratti dalle bellezze e da’ piaceri della Campania; e la villa del vecchio Scipione a Literno somministrava un durevole esempio della rustica loro semplicità3.

  1. Vedansi le sue medaglie presso il Ducange (Famil. Byzant. pag. 81), Prisco (Excerpt. Legation. pag. 56), Maffei (Osservaz. letter. Tom. 2, pag. 314). Noi possiamo addurre un famoso e simile caso. I minimi sudditi del Romano Impero presero l’illustre nome di Patrizio, che per la conversione dell’Irlanda si è comunicato ad una intiera nazione.
  2. Ingrediens autem Ravennam deposuit Augustulum de regno, cujus infantiam misertus consessit ei sanguinem; et quia pulcher erat, tamen donavit ei reditum sex millia solidos, et misit eum intra Campaniam cum parentibus suis libere vivere. Anonym. Vales. p. 716. Giornandes dice (c. 46. p. 680) in Lucullano Campaniae castello exilii poena damnavit.
  3. Vedi l’eloquente declamazione di Seneca (Epist. 86). Il Filosofo avrebbe potuto dedurne, che ogni lusso è re-