Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/205

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mi servo dell’espressioni di là dalle Alpi, dal Reno, dal Danubio ec., generalmente suppongo di trovarmi a Roma, e di poi a Costantinopoli, senza fare attenzione, se questa relativa Geografia possa convenire o no alla locale variabile situazione del Lettore, o dell’Istorico. 2. Ne’ nomi propri d’origine straniera, specialmente orientale, sarebbe sempre mio disegno di esprimere nella versione Inglese una copia fedele dell’originale. Ma spesso conviene abbandonar questa regola, che si fonda sopra un giusto riguardo per l’uniformità e la verità; quindi se ne limiteranno, o estenderanno l’eccezioni, secondo l’uso della lingua ed il genio dell’interpetre. Sovente i nostri alfabeti possono esser mancanti: un suono duro, un’ingrata distribuzione di lettere potrebbe offender l’orecchio o l’occhio de’ nostri Nazionali; ed alcune parole, manifestamente corrotte, si sono stabilite, e quasi naturalizzate nella lingua volgare. Il Profeta Mohammed, per esempio, non si può spogliar più del famoso, quantunque improprio nome di Maometto; non si riconoscerebbero quasi più le notissimo Città d’Aleppo, di Damasco, e del Cairo nelle strane denominazioni di Haleb, Damashk, ed Al Cahira; si son formati i Titoli e gli Ufizi dell’Impero Ottomano dalla pratica di trecento anni; ed ormai siamo soliti d’unire i tre Monosillabi Chinesi Con-fu-tzee nel rispettabile nome di Confucio, come pure di adottare la corruzion Portughese di Mandarino. Io però sono inclinato a variare l’uso di Zoroastro e di Zerdusht a misura che ho tratto le mie notizie dalla Grecia o dalla Persia; dopo il nostro commercio coll’Indie, si è restituito al trono di Tamerlano il genuino Timour; i nostri più corretti Scrittori hanno tolto dal Koran il superfluo articolo