Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/263

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dell'impero romano cap. xl. 257

ratore Anastasio dal Mondo. Furono esclusi dal trono i potenti di lui congiunti, ch’egli aveva innalzato ed arricchito; e l’Eunuco Amanzio, che regnava nel Palazzo, aveva segretamente risoluto di porre il diadema sul capo del più ossequioso fra le sue creature.  [A. 518-527] Ma Giustino perfidamente adoprò questi gravi argomenti a favor di se stesso; e siccome non ardì presentarsi alcun competitore, fu vestito della porpora il contadino della Dacia, per l’unanime consenso dei soldati, che lo riconobbero valoroso e moderato; del Clero e del Popolo, che lo credeva ortodosso; e dei Provinciali, che cederono con una cieca ed implicita sommissione al volere della Capitale. Giustino il Vecchio, così nominato per distinguerlo da un altro Imperatore della medesima Famiglia e dell’istesso nome, salì sul trono di Bisanzio all’età di sessant’otto anni; e se si fosse lasciato operare a suo talento, ad ogni istante d’un Regno di nove anni, avrebbe dovuto manifestare a’ suoi sudditi l’improprietà della loro elezione. La sua ignoranza era simile a quella di Teodorico, ed è osservabile, che in un secolo non affatto privo di cognizioni, due Monarchi contemporanei non avevano mai appreso neppur l’alfabeto. Ma il genio di Giustino era molto inferiore a quello del Re Goto: l’esperienza di soldato non l’aveva renduto capace del governo d’un Impero; e quantunque fosse personalmente valoroso, la coscienza della propria debolezza veniva naturalmente accompagnata da dubbi, diffidenze e timori politici. Gli affari però ministeriali dello Stato erano diligentemente e fedelmente