Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
dell'impero romano cap. xxxvii. | 25 |
stentavano per mezzo del lavoro delle proprie mani, ed il dovere di lavorare veniva caldamente raccomandato come una penitenza, come un esercizio, e come il mezzo più lodevole di procurarsi la quotidiana lor sussistenza1. Venivano diligentemente coltivati dalle lor mani i giardini ed i campi, che l’industria loro spesse volte avea tratto dalle foreste e dalle paludi. Essi facevano, senza ripugnanza, i più bassi ufizi di schiavi e di domestici; e si esercitavano dentro i recinti de’ grandi Monasteri le varie arti ch’erano necessarie a provvederli di abiti, di utensili e di abitazioni. Gli studi monastici, per la maggior parte, son serviti ad accrescere, piuttosto che a dissipar la caligine della superstizione. Pure la curiosità, o lo zelo di alcuni eruditi solitari ha coltivato le scienze ecclesiastiche ed anche le profane: e la posterità dee riconoscer con gratitudine, che le loro instancabili penne, ci hanno conservato e moltiplicato i monumenti della Greca e Romana Letteratura2. Ma la più umile industria de’ Monaci, specialmente d’Egit-
- ↑ Due gran Maestri della scienza ecclesiastica, il P. Tommassino (Discipl. de l’Eglis. Tom. III. p. 1090, 1139) ed il P. Mabillon (Etudes Monastiq. Tom. I. p. 116, 155) hanno seriamente esaminato il lavoro manuale dei Monaci, che il primo risguarda come un merito, ed il secondo come un dovere.
- ↑ Il Mabillon (Erud. Monast. Tom. I. pag. 47, 55) ha raccolto molti curiosi fatti per provare i lavori letterari de’ suoi predecessori, sì in Oriente, che in Occidente. Si copiavano libri negli antichi Monasteri d’Egitto (Cassiano In-
L’ironico Autore dell’opera intitolata Ordres Monastiques, che pone in ridicolo la folle scrupolosità de’ conventi moderni, sembra, che non sappia, che gli antichi erano ugualmente assurdi.