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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/104

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100 storia della decadenza

si avanzò dal Porto, lungo la strada maestra, per tenere a freno i movimenti e divertire l’attenzione del l’inimico. L’infanteria e le provvigioni erano distribuite in due cento grossi battelli, ed ogni battello era schermito da un alto riparo di spesse tavole, traforate da molti piccoli pertugi per la scarica delle armi da lanciare. Nella fronte, due grandi navi, insieme legate, sostenevano un castello ondeggiante, che dominava le torri del ponte, e conteneva un magazzino di fuoco, di zolfo e di bitume. La flotta intiera, condotta dal Generale in persona, fu laboriosamente sospinta contro la corrente del fiume. Cedè la catena al peso di essa, ed i nemici che custodivano le rive furono ammazzati o dispersi. Tosto che la flotta toccò la principale barriera, la macchina incendiaria in un momento fu aggrappata al ponte; una delle torri, con dugento Goti dentro, andò in fiamme; gli assalitori alzarono il grido della vittoria, e Roma era salvata, se la cattiva condotta degli Ufficiali di Belisario non avesse sovvertito gli effetti della sua sapienza. Egli precedentemente avea mandato ordine a Bessa di secondar le sue operazioni con un’opportuna sortita dalla città, ed aveva imposto ad Isacco suo luogotenente, di non abbandonare la stazione del Porto. Ma l’avarizia rendè Bessa immobile; mentre il giovanile ardore d’Isacco lo diede nelle mani di un superiore nemico. L’esagerato romore della disfatta di costui rapidamente pervenne all’orecchio di Belisario: egli ristette, lasciò vedere, in quel solo momento della sua vita, qualche emozione di sorpresa e di perplessità, e con ripugnanza fece suonare la raccolta per salvar la sua moglie Antonina, i suoi tesori ed il solo porto che possedesse sulle coste della Toscana. Il travaglio del suo animo gli