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storia della decadenza |
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sero con unanimi acclamazioni al genitore che l’eroico garzone, il quale avea avuto a comune i pericoli della battaglia, fosse ammesso alla festa della vittoria. „Vi sovvenga„ replicò l’inflessibile Audoino, „delle sagge costumanze de’ nostri maggiori. Qualunque sia il merito di un Principe, egli non può sedere a mensa col prode, sinchè non abbia ricevuto le sue armi da una mano straniera e regale„. Alboino piegò la fronte con riverenza alle istituzioni della sua patria; scelse quaranta compagni, ed animosamente portossi alla Corte di Turisondo re dei Gepidi, il quale abbracciò ed accolse, secondo le leggi dell’ospitalità, l’uccisore del proprio suo figlio. Durante il banchetto, mentre Alboino occupava il seggio del giovane ch’egli avea spento, una tenera rimembranza sorse nell’animo di Turisondo. „Come caro è quel posto! – come odioso è chi il tiene! –„ Tali furono le parole che sfuggirono, accompagnate d’un sospiro, dal labbro del padre addolorato. Il suo cordoglio inasprì il risentimento nazionale de’ Gepidi; e Cunimondo, figlio che gli restava, fu provocato dal vino, o dal fraterno amore, al desiderio della vendetta. „I Lombardi„, disse il rozzo Barbaro, „rassomigliano, nell’aspetto e nell’odore, alle giumente delle nostre pianure sarmatiche„. E quest’insulto era una grossolana allusione alle bianche bende di cui i Lombardi portavano avviluppate le gambe. „Aggiungi un’altra rassomiglianza„, replicò un baldanzoso Lombardo; „che tu sai come tirano calci. Visita la pianura di Asfeld, ed ivi cerca le ossa di tuo fratello; esse vi sono miste con quelle degli animali più vili„. I Gepidi, nazione di guerrieri, balzarono da’ loro scanni, e l’intrepido Alboino, co’ suoi quaranta compagni,