Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/310

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306 storia della decadenza

abborrire, come di lega vilissima, l’oro spremuto dalle lagrime del Popolo. Per sollevare i suoi sudditi, ogni volta ch’erano stati afflitti da naturali o da ostili calamità, egli punto non indugiava a discioglierli dai tributi, di cui restavano in debito, o dalla dimanda di nuove imposizioni. Fieramente egli rigettò le servili proposte de’ suoi ministri che gli offrivano ripieghi compensati da una oppressione dieci volte maggiore, e le savie ed eque leggi di Tiberio eccitarono la lode de’ tempi susseguenti ed il rammarico della sua perdita. Costantinopoli tenne per fermo che l’Imperatore avesse scoperto un tesoro: ma il vero suo tesoro consisteva nella pratica di una liberale economia, e nel disprezzo di tutte le spese superflue. I Romani dell’Oriente avrebbero gioito la felicità, se il migliore fra i doni del cielo, un Principe che ama la patria, fosse rimasto perpetuamente fra loro. Ma in meno di quattro anni dopo la morte di Giustino, il degno suo successore cadde sotto il peso di una mortale infermità, che appena gli lasciò il tempo di restituire il diadema al più meritevole de’ suoi cittadini, secondo l’investitura ond’egli il teneva. Tiberio tra la folla scelse Maurizio, giudizio più prezioso che la porpora stessa. Il Patriarca ed il Senato furono chiamati al letto del principe moribondo: egli diede a Maurizio la sua figlia e l’Impero; e l’ultimo suo volere fu solennemente bandito dalla voce del Questore. Tiberio manifestò la speranza in cui era che le virtù del suo figlio e successore avessero ad innalzare il più nobile monumento alla sua memoria. Essa fu onorata dalla pubblica afflizione; ma il più sincero cordoglio si dilegua nel tumulto di un nuovo regno, e gli occhi ed