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dell'impero romano cap. xlv. |
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gnità di Roma unicamente contraddistinguevasi per la libertà e l’energia delle sue querele. „Se tu sei impotente, inabile,„ essa diceva, „a liberarci dalla spada de’ Lombardi, salvaci almeno dalle calamità della fame„. Tiberio perdonò la rampogna, e sollevò la miseria; si trasportò una provvigione di grano dall’Egitto al Tevere, ed il Popolo Romano, invocando il nome, non di Camillo ma di S. Pietro, respinse i Barbari dalle sue mura. Ma accidentale fu il soccorso, perpetuo ed incalzante era il pericolo; ed il Clero ed il Senato raccogliendo gli avanzi dell’antica loro opulenza, unirono una somma di tremila libbre d’oro, e spedirono il patrizio Panfronio a porre i loro doni ed i loro lamenti a piè del trono di Costantinopoli. L’attenzione della Corte, e le forze dell’Oriente, erano volte verso la guerra Persiana: ma la giustizia di Tiberio applicò il sussidio alla difesa della città; ed egli accommiatò il Patrizio col migliore consiglio che potesse dargli, ch’era di corrompere i Capi Lombardi, ovvero di procacciarsi l’aiuto dei Re di Francia. Nonostante questa debole invenzione, l’Italia continuò a gemere afflitta, Roma fu di nuovo assediata, ed il sobborgo di Classe, non più di tre miglia distante da Ravenna, fu saccheggiato ed occupato dalle truppe di un semplice Duca di Spoleto. Maurizio diede udienza ad una seconda deputazione di Sacerdoti e di Senatori; le obbligazioni e le minacce della religione erano vivamente esposte nelle lettere del pontefice di Roma; ed il suo nunzio, il Diacono Gregorio, era egualmente idoneo ad invocare i poteri del cielo e quei della terra. L’Imperatore si apprese con più poderoso effetto al consiglio del suo predecessore: si persuase ad alcuni formidabili Capi Lombardi di ab-