Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/71

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dell'impero romano cap. xlii. 67

e non comunicava colla terra eccetto per mezzo di un arduo ed angusto sentiero. Difficile essendone l’approccio, poteva credersene impossibil l’attacco. Il conquistatore persiano aveva aggiunto nuove opere alle fortificazioni di Giustiniano, e nuovi baluardi cuoprivano i luoghi meno inaccessibili. In questa importante rocca la vigilanza di Cosroe avea raccolto un magazzino di arme offensive e difensive, il qual era sufficiente ad armare cinque volte il numero, non solo degli assaliti ma anche degli stessi assalitori. Le provigioni di farina e di sale erano in tale abbondanza da fornire al consumo di cinque anni; si suppliva alla mancanza del vino mediante l’aceto ed il grano da cui si traeva una spiritosa bevanda: ed un triplice acquedotto eludeva la diligenza, anzi i sospetti pure dell’inimico. Ma la più ferma difesa di Petra era posta nel valore di mille cinquecento Persiani che respingevano gli assalti dei Romani; allorchè fu segretamente praticata una mina dentro una vena più cedente di terra. Le mura, sostenute da deboli e temporanei puntelli, pendevano vacillanti nell’aria; ma Dagisteo differì l’ultimo attacco sinchè non si fosse assicurata una specifica ricompensa; e la città venne soccorsa, prima che il suo messo fosse ritornato da Costantinopoli. A quattrocento uomini era ridotta la guarnigione persiana, dei quali non più di cinquanta andavano esenti da malattie o da ferite: eppure a tale era giunta l’inflessibile loro perseveranza che nascosero le loro perdite all’inimico, col sopportare, senza lagnarsi, la vista ed il putrido fetor de’ cadaveri dei loro mille e cento compagni. Appena liberata fu Petra, sollecitamente si saldarono le brecce con sacchi di sabbia; si colmò di terra la mina e si eresse un nuovo muro, puntel-