Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/455

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dell'impero romano cap. liii. 449

bligò Tito a licenziare, malgrado suo e malgrado di lei, Berenice1. Per meglio perpetuare l’autorità di questa massima, si suppose che Costantino il Grande la confermasse. Gli ambasciatori delle nazioni estere, e di quelle soprattutto che non aveano abbracciato il cristianesimo, furono solennemente avvertiti che queste alleanze dal fondator della capitale e dalla religion dell’impero erano state proscritte. La pretesa legge fu incisa sull’altare di S. Sofia, e si dichiarò decaduto dalle comunioni civili e religiose de’ Romani quell’empio che osasse macchiar la maestà della porpora. Se da qualche falso fratello avessero gli ambasciatori saputo la storia della Corte di Bisanzio, avrebber potuto allegare tre memorabili infrazioni fatte a questa legge immaginaria, il matrimonio di Leone o piuttosto di suo padre Costantino IV colla figlia del re dei Cozari, quello d’una nipote di Romano con un principe Bulgaro, e l’altro finalmente di Berta, principessa francese o italiana, col giovane Romano figlio dello stesso Costantino Porfirogeneta. Ma a queste tre obbiezioni vi avean tre risposte che togliean la difficoltà e statuivano la legge: I. Il matrimonio di Co-

    VIII, 688). Questa Egiziana per altro discendeva da gran numero di re. Quid te mutavit (dice Antonio ad Augusto in una lettera) an quod reginam ineo? Uxor mea est (Svetonio, in August., c. 69). Per altro non so, nè ho tempo di cercare, se il Triumviro osasse mai celebrare il suo matrimonio con Cleopatra secondo i riti romani o quei dell’Egitto.

  1. Berenicem invitus invitam dimisit (Sveton. in Tito, c. 7). Non mi ricordo se io abbia altrove osservato che questa bella Giudea avea allora più di cinquant’anni. Il giudizioso Racine s’è ben guardato dal parlar della sua età e del suo paese.