Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/471

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dell'impero romano cap. liii. 465

Avrebbe potuto la religione, per molti titoli, ispirare ad essi quel coraggio di cui, per colpa del lor governo e del carattere proprio, mancavano: ma la religione dei Greci non insegnava che a soffrire e a cedere. Niceforo, che per poco rintegrò la disciplina e la gloria del nome Romano, volle compartire gli onori del martirio ai cristiani, che in una santa guerra contro gli infedeli perdessero la vita: ma il patriarca, i vescovi e i primari senatori impedirono questa legge dettata dalla politica, sostenendo pertinacemente, giusta i canoni di S. Basilio, che tutti quelli che s’erano contaminati col sanguinoso esercizio del mestiere dell’armi, dovevano per tre anni essere segregati dalla comunione dei fedeli1.

Si sono confrontati questi scrupoli dei Greci colle lagrime che versavano i primi Musulmani, quando non poteano assistere ad una battaglia, e tal contrapposto d’una vile superstizione e d’un fanatismo coraggioso spiega agli occhi del filosofo la storia delle due nazioni rivali. I sudditi degli ultimi Califfi2 aveano veramente smarrito lo zelo e la fede dei compagni del Profeta, ma i lor dogmi guerrieri riguardavano

  1. Zonara (t. II, l. XVI, p. 202, 203) e Cedreno (Compend., p. 698) che parlano di questa idea di Niceforo, applicano molto male l’epiteto di γενναιον generosa all’opposizion del Patriarca.
  2. Il decimo ottavo capitolo, che tratta della tattica delle varie nazioni, è il più storico ed il più utile di tutta l’Opera di Leone. Non avea che troppe occasioni l’imperator Romano di studiare i costumi e le armi de’ Saracini (Tactique p. 809-817, e un frammento d’un manoscritto della biblioteca Medicea, che si trova nella prefazione del sesto volume del Meursio).