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missionario e di un martire. Generalmente però, i ridetti Settarj non correvano in traccia della corona del martirio1: ma durante un secolo e mezzo di patimenti, soffersero con rassegnazione tutto quanto lo zelo de’ lor persecutori seppe immaginare contr’essi; nè gli sforzi della costanza pervennero ad estirpare i germi, difficilissimi entrambi ad essere spenti, i germi del fanatismo, e quelli della ragione. E predicanti, e congregazioni, uscirono per più riprese dal sangue, e dalle ceneri delle prime vittime. Pure in mezzo alle ostilità esterne cui soggiacevano i Paoliziani, trovarono il tempo per abbandonarsi a querele domestiche. Predicarono, disputarono, soffersero; e sin gli storici del Cattolicismo son costretti a far testimonianza sulle virtù, certamente apparenti, che in un intervallo di trentratre anni Sergio diè a divedere2. Un pretesto di religione spronò la crudeltà ingenita di Giustiniano, trattosi nella vana speranza di estinguere con una sola persecuzione il nome e la memoria dei Paoliziani. La semplicità della Fede che professavano i principi Iconoclasti, e la loro av-

  1. Sembrerebbe che i Paoliziani si fossero fatti leciti alcuni equivoci o alcune restrizioni mentali, sintanto che i Cattolici trovassero finalmente con quali interrogazioni poteano ridurli all’alternativa della apostasia, o del martirio (Pietro il Sicil. p. 760).
  2. Pietro il Siciliano (p. 579-767) racconta questa persecuzione con gioia e in tuono di scherzo. Justus justa persolvit. – Simeone non era τιτος, Tito, ma κητος, Ceto, (convien dire che la pronunzia di questi due vocaboli fosse all’in circa la stessa), una grande balena che sommergeva i marinai caduti nell’errore di crederla un’isola (V. Cedreno p. 434-435).