Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/263

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dell'impero romano cap. lvii 257

me si stava; la conquista degli Arabi, anzichè toglier di mezzo i pellegrinaggi a Terra Santa, ne eccitò maggior desiderio; e il dolore e l’indignazione cresceano nuova forza all’entusiasmo che l’idea di questi rischiosi viaggi inspirò. I pellegrini dell’Oriente e dell’Occidente giugneano a torme al Santo Sepolcro, e alle chiese circonvicine, soprattutto nel tempo delle feste pasquali; i Greci e i Latini, i Nestoriani e i Giacobiti, i Cofti, e gli Abissinj, gli Armeni e i Georgiani manteneano, ciascuno per propria parte gli oratorj, il clero, e i poveri della loro comunione. L’armonia di tutte queste preghiere fatte in idiomi così diversi, il concorso di tante nazioni assembrate nel tempio comune di lor religione, avrebbero dovuto offerire uno spettacolo di edificazione e di pace; ma lo spirito di odio e vendetta inacerbiva lo zelo delle Sette cristiane, che ne’ luoghi medesimi, ove il Messia, perdonando ai suoi carnefici, avea perduta la vita, voleano dominare e perseguitare i proprj fratelli. Il coraggio ed il numero assicurando ai Franchi la preminenza, Carlomagno colla sua grandezza1 proteggea i pellegrini della Chiesa latina, e i Cattolici dell’Oriente. La povertà di Cartagine, di Alessandria e di Gerusalemme trovò ristoro ne’ soccorsi di questo pietoso Imperatore, che inoltre edificò, o riparò molti monasteri della Palestina. Arun al-Rascid, il maggiore fra gli Abbassidi, apprezzava

  1. V. intorno alle corrispondenze di Carlo Magno con Terra Santa Eginardo (De vita Caroli Magni, c. 16, p. 79-82), Costantino Porfirogeneta (De administr. imperii, l. II, c. 26, p. 80), e il Pagi (Critica, t. III, A. D. 800, n. 13, 14, 15).