Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XII.djvu/158

Da Wikisource.
154 storia della decadenza

si udivano per ogni dove obbligarono gli abitanti ad appigliarsi a un partito. I Greci di Costantinopoli manteneano affetto agli antichi loro Sovrani. I mercatanti genovesi rispettavano la recente lega che la loro Repubblica col Principe greco aveva contratta ed odiavano i Veneziani; in tutti i rioni si presero l’armi; l’aere risonò di una acclamazione generale: „Vittoria e lunga vita a Michele e a Giovanni, gli augusti Imperatori de’ Romani„. Queste grida svegliarono Baldovino; ma l’imminenza stessa di un tanto pericolo non valse a fargli sguainare la spada in difesa di una città, dalla quale gli era forse più conforto che rincrescimento l’allontanarsi. Corse alla riva, ove scorse per sua ventura le vele di quella flotta che tornava addietro dalla sua vana spedizione contro Dafnusia. Vedendosi che Costantinopoli era perduta senza riparo, Baldovino, e le primarie famiglie latine s’imbarcarono sulle galee veneziane, che dopo avere veleggiato all’isola di Eubea, di lì condussero in Italia l’augusto fuggitivo, che trovò presso il Pontefice romano un’accoglienza in cui la compassione e lo sprezzo si avvicendavano. Dal momento della perduta sua capitale, fino a quel della morte, Baldovino impiegò tredici anni in sollecitazioni alle Potenze cristiane, affinchè si collegassero per rimetterlo in trono; supplica che gli era già famigliare; nè si mostrò in quest’ultimo esilio, o più indigente o più avvilito di quello che egli era apparso nelle sue tre prime peregrinazioni alle Corti d’Europa. Il figlio di lui, Baldovino, ereditò dal padre il vano titolo d’Imperatore, e Catterina figlia di questo, divenuta sposa di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello Re di Francia, gli portò in dote le sue pretensioni.