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286 | storia della decadenza |
tcolo di fede l’esistenza di un Dio, autor d’ogni bene, la cui presenza tiene tutto lo spazio della terra e de’ cieli che la sua possanza ha creati. I Tartari e i Mongulli adoravano gl’idoli particolari di lor tribù; e missionarj stranieri aveano convertito un grande numero di questi alla legge di Cristo, o di Mosè, o di Maometto. Ma concedendosi a ciascuno di darsi liberamente e senza disputare, alle pratiche della propria religione entro il ricinto del medesimo campo, il Bonzo, l’Imano, il Rabbino, il Prete o nestoriano, o cattolico, godeano del pari l’onorevole immunità dal prestar servigio militare e dal pagare tributo. Laonde, se nella moschea di Boccara, l’impetuoso conquistatore, permise che i suoi cavalli calpestassero il Corano in tempo di pace, il saggio legislatore rispettò i Profeti e i Pontefici di tutte le Sette. La ragione di Gengis nulla doveva ai libri, perchè questo Kan non sapea nè leggere, nè scrivere; ed eccetto la tribù degl’Iguri, pressochè tutti i Mongulli o Tartari, pareggiavano in ignoranza il loro Sovrano; talchè la ricordanza delle loro geste si è conservata sol per via di tradizioni state raccolte e scritte sessant’otto anni dopo la morte di Gengis1. Alla
- ↑ Raccolta eseguita nell’anno 1294, per ordine di Chasan, Kan di Persia, e quarto discendente di Gengis. Sul fondamento di queste tradizioni, Fadlallà, Visir del ridetto Kan, compose la Storia dei Mongulli in lingua persiana; della quale si è valso Petis de la Croix, nella sua Storia di Gengis-kan. La Storia genealogica de’ Tartari, pubblicata a Leida nel 1726 in due volumi in 12, è una traduzione che gli Sve-
di Gengis-kan e quello del Locke. (V. le Costituzioni della Carolina, nelle sue Opere, vol. IV, p. 535, edizione in 4., 1777).