Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XII.djvu/407

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dell'impero romano cap. lxv. 403

che portava morte e distruzione nella Georgia, rispettando ad un tempo la santa guerra di Baiazetto, non poteva essere propenso a compiangere, o a proteggere gl’idolatri europei. Non ascoltando il Tartaro che le voci della propria ambizione, la liberazione di Costantinopoli fu sol conseguenza indiretta delle sue imprese. Allorchè Manuele rassegnò il governo, chiedea, senza sperarlo, al Cielo, fosse differita sin dopo il termine de’ suoi miseri giorni la rovina della Chiesa e dell’Impero. Mentre di ritorno dall’Occidente, ei s’aspettava ogni dì la notizia di tale catastrofe, udì con sorpresa eguale alla gioia la partenza, la sconfitta e la cattività dell’Imperatore ottomano. Partitosi tosto da Modone nella Morea1, rivide Costantinopoli, ove risalì il suo trono, assegnando al Principe di Selimbria un temperato esilio nell’isola di Lesbo. Vennero ammessi alla sua presenza gli ambasciatori del figlio di Baiazetto che assunsero modesto tuono, quale al fiaccato loro orgoglio addiceasi; oltrechè li tenea in giusto riguardo il timore che i Greci agevolassero ai Mongulli l’ingresso in Europa. Solimano salutò l’Imperatore col nome di Padre, e sollecitando da lui l’investitura del governo della Romania, promettea meritarsi un tale favore, con essergli inviolabilmente collegato, e col restituirgli Tessalonica, e le piazze più rilevanti situate sulle rive dello Strimone,

  1. Intorno i regni di Manuele e di Giovanni, di Maometto I e di Amurat II, V. la Storia ottomana di Cantemiro (p. 70-95), e i tre scrittori greci Calcocondila, Franza e Duca, da preferirsi sempre quest’ultimo ai suoi rivali.