Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/249

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dell'impero romano cap. lxx. 243

da, vergine ancora, l’agitò per tre riprese verso le tre parti del Mondo, e nel delirio che lo avea preso, per tre volte esclamò: „E ciò ancor mi appartiene„. Il Vescovo di Orvieto, Vicario del Papa, voleva adoperarsi ad arrestare il corso di tutte queste pazzie; ma una musica guerresca soffocava le sue deboli proteste; nè osò autenticarle col togliersi dall’Assemblea; ma anzi terminata la cerimonia, pranzò col suo collega Rienzi ad una tavola, fino a quel dì riservata pel solo Pontefice. Fu apparecchiato un banchetto sullo stile delle mense di cui un giorno i Cesari soleano presentare i Romani. Gli appartamenti, i portici, i cortili del palagio di Laterano vedeansi tutti ingombrati da tavole per gli uomini e per le donne di ogni grado: un torrente di vino sgorgava dalle narici del cavallo di bronzo che portava la statua del fondatore di Costantinopoli, e se d’alcuna cosa difettava quel convito, difettava sol d’acqua: le cure presesi per il buon ordine e la paura tennero in freno la popolare licenza. Venne indi assegnato il giorno per l’incoronazione di Rienzi1. I più ragguardevoli personaggi del Clero romano gli posero, l’un dopo l’altro, sul capo sette corone di differenti metalli, che rappresentavano i Sette Doni dello Spirito Santo: in tal guisa s’avvisava il Rienzi di seguir l’esempio degli antichi tribuni! Spettacoli così straordinarj ingannavano, o lusingavano il popolo, che nella soddisfatta vanità

  1. È cosa singolare che il Fortifiocca non abbia fatto cenno di questa coronazione, verisimile per sè stessa, e confermata dalle testimonianze dell’Hocsemio e del medesimo Rienzi (Du Cerceau, p. 167-170-229).