Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/253

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dell'impero romano cap. lxx. 247

stati adoperati senza risparmio tutti i contrassegni spirituali e temporali di riconciliazione, tornarono alle case loro insigniti de’ nuovi titoli di Generali, consoli e patrizj. La ricordanza del pericolo corso, più che la gratitudine per la loro liberazione, tennero per alcune settimane cheti gli Orsini e i Colonna; ma finalmente i più poderosi di entrambe le famiglie, usciti di Roma, innalzarono a Marino lo stendardo della sommossa. Riparate affrettatamente le mura di questo castello, i vassalli si trasferirono presso i loro Signori; chiunque, condannato in contumacia, non potea sperare la protezion delle leggi, si armò contro il Magistrato; per tutta la strada che conduce da Marino a Roma, venivano rubate le mandrie, devastati i vigneti e i campi di biada; e il popolo accusava Rienzi di quelle calamità che il governo di Rienzi gli avea fatto dimenticare. Cotest’uomo, il quale faceva assai miglior comparsa dalla tribuna che sul campo di battaglia, andò lento nelle provvisioni per arrestare i ribelli, e quando cominciò a decretarne, questi aveano già raccolti molti soldati e rendute inespugnabili le loro Fortezze. La lettura di Tito Livio non avea conferito a Rienzi nè il sapere, nè il valore di un Generale: ventimila Romani si videro costretti a tornar addietro, privi di buon successo e di gloria, dall’assalto del castel di Marino; il Tribuno intanto teneva a bada la sua vendetta or con pitture che mostravano i nemici col capo volto, ora annegando allegoricamente due cani; fossero almeno stati due orsi, giacchè egli intendeva di alludere agli Orsini. Con ciò convincendo sempre più della sua incapacità i ribelli, questi mandarono