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248 storia della decadenza

avanti con maggior vigore le loro fazioni. Sostenuti in segreto da un grosso numero di cittadini, si accinsero all’opera d’introdursi, fosse a viva forza, o per sorpresa, entro Roma, conducendo seco quattromila fantaccini, e mille seicento uomini a cavallo. Custodita accuratamente era la città; la campana a stormo sonò tutta la notte. Le porte furono a vicenda guardate con grande sollecitudine, ed aperte con incredibile audacia. Pur, dopo qualche titubazione, gli armati esterni credettero opportuna cosa il ritirarsi; e già le due prime divisioni di questo esercito si allontanavano, allor che i Nobili del retroguardo, vedendo libero l’ingresso di Roma, da un imprudente valore si lasciarono trasportare. Felici nel successo di una prima scaramuccia, furono indi oppressi dal numero de’ Romani e senza remissione trucidati. Quivi perì Stefano Colonna il Giovane, dal quale il Petrarca aspettava la restaurazione dell’Italia. Prima di Stefano erano già caduti sotto il ferro nemico e Giovanni, giovanetto che porgea grandi speranze, e Pietro, che dovette augurarsi la tranquillità e gli onori della Chiesa, l’un figlio, l’altro fratello, e un nipote di Stefano, e due bastardi della famiglia Colonna; e il numero di sette, le sette corone dello Spirito Santo, chiamavale Rienzi, fu compiuto dalle mortali angosce di un inconsolabil padre, del vecchio Capo della Casa Colonna, che sopravvisse alla speranza e alle sciagure della sua gente. Il Tribuno, per animare vie più le sue truppe, immaginò un’apparizione e una profezia di S. Martino e di Bonifazio VIII1.

  1. Rienzi, nella lettera che abbiam citata poc’anzi, attribuisce a S. Martino il Tribuno e a Bonifazio VIII, nemici