Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/175

Da Wikisource.

libro primo - capitolo settimo 169


parte contraria ai fatti immutabili, parte composta d’idee confuse e difettive di sufficiente elaborazione, di saggi e di tentativi anzi che di enunziati dottrinali, viene a essere un’ipotetica greggia, che va a tentoni ed è lungi dall’avere asseguito abito fermo di scienza. E siccome nulla piú nuoce alla vera scienza che lo spacciare sotto il suo nome presupposti chimerici od informi, i lavori dei socialisti forse piú valsero da questo lato a ritardare lo scioglimento dei quesiti economici che ad affrettarlo. Peggio si è che fra i sistemi disparatissimi aggreggiati sotto il detto vocabolo alcuni rasentano il comunismo1; e volendo gli autori metterli in opera, al disfavore dei dotti si aggiunge il terrore dell’universale. Questa spezie di socialismo pratico, non che giovare, nocque piú di tutto ai progressi della democrazia e diede a’ suoi nemici un’arma potentissima per oppugnarla. Anche le riforme economiche che hanno del plausibile e del ragionevole non si possono introdurre e stabilire durevolmente se non in quanto la pubblica opinione è apparecchiata a riceverle. I lor promotori debbono pertanto esser prudenti e longanimi, conforme al consiglio di un orator francese2, ricordandosi che quando in economia si vuol preoccupare l’opera del tempo, della cultura e della consuetudine, si apre l’adito a mali piú atroci che quelli delle rivoluzioni politiche, e che alle leggi agrarie è dovuto il periodo piú sanguinoso dell’antico mondo e il tristo onore di aver dettate le prime liste di proscrizione3.

Il comunismo è l’abuso di un’idea vera, bella, universale, poiché la famiglia, la cittá, la nazione, la patria, l’umanitá, anzi

  1. Parlo di alcuni e non di tutti, e dico che rasentano e non che sieno. Alcuni giornali francesi e italiani per malizia o per ignoranza confondono affatto i socialisti coi comunisti, come se gli errori dei primi dessero ad altri il diritto di calunniarli.
  2. Vedi il discorso del signor Deflotte nella tornata dei 25 di maggio 1850 dell’assemblea nazionale di Francia.
  3. La ragione si è che «gli uomini sdimenticano piú presto la morte del padre che la perdita del patrimonio» (Machiavelli, Princ., 17), «e stimano piú la roba che gli onori. Perché la nobiltá romana sempre negli onori cede senza scandali straordinari alla plebe; ma come si venne alla roba, fu tanta l’ostinazione sua nel difenderla, che la plebe ricorse per isfogare l’appetito suo a quelli straordinari che di sopra si discorrono» (Id., Disc., i, 37).