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CAPITOLO NONO

dei municipali e dei conservatori

Il genio municipale muove da due princípi, l’uno dei quali appartiene alla cognizione e l’altro alla potenza affettiva. Il primo in ciò versa: che il municipio è cosa sensata e cade come tale (a guisa di ogni fatto immediato) sotto l’apprensiva di tutti, per modo che ciascuno ha seco continua e intima dimestichezza. La nazione all’incontro non si sente, ma intendesi mediante l’uso della riflessione e del raziocinio; e quantunque sia un fatto essa pure, non è però visibile né palpabile, e partecipa per tal rispetto alla natura delle cose ideali: cosicché laddove anco gli uomini piú rozzi hanno contezza del comune, bastando a tal effetto aver gli occhi in capo, il concetto vivo e distinto della nazione richiede qualche squisitezza d’ingegno e una certa coltura civile. Una consuetudine incominciata, si può dir, colla vita, assidua, incessante, avvalorata dall’educazione, dalla pratica, dall’esempio, dagli spiriti domestici, dalle cure, dai doveri, dagli affetti, dai passatempi, dagl’interessi piú noti, vivi e immediati, ci stringe al municipio, proprio domicilio di ciascuno; mentre che solo per mezzo di esso si appartiene alla nazione e alla patria, quasi comune stanza e famiglia.

Il principio affettivo è parte generoso, parte volgare. Intendo per «affetto generoso» l’amor del luogo nativo, il quale amore si distingue dalla caritá della patria come il seme dall’albero, la potenza dall’atto, il volere istintivo dal deliberato, il particolare dal generale, il sensibile dall’intelligibile; essendo che la patria non è solo una cosa ed un fatto ma un’idea, non è pure un sentimento ma involge un obbligo morale, e come il senso