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libro primo - capitolo nono 237


L’inesperienza patrizia e forense non indugiò in Piemonte a portare i suoi frutti. La guerra era rotta coll’Austria, e l’unione coi lombardoveneti desiderata universalmente dai subalpini. Ma quando si venne a stabilirla e toccare il punto della capitale, le gelosie di municipio e di provincia si destarono, e i retrogradi colsero il destro per dimembrare la parte democratica dalla conservatrice. I ministri si divisero pure in due campi: gli uni volevano che l’unione fosse rogata senza condizioni, lasciando a un consesso universale e ulteriore il determinarle; gli altri, che con clausula espressa si assicurasse a casa Savoia lo scettro e a Torino il privilegio di essere metropoli del nuovo regno. Egli è fuor di dubbio che il secondo partito era legalmente piú regolare e politicamente piú savio per ciò che toccava al principato, giacché al buon esito del Risorgimento importava sopra tutto il chiudere ogni via alle mene repubblicane. Ma è certo del pari che il litigio non era di tal momento che la vittoria si dovesse antimettere alla concordia. Poiché i partigiani della prima opinione aveano i commissari del parlamento e i delegati milanesi favorevoli, i conservatori doveano cedere da questo lato: doveano guardarsi sopra ogni cosa d’irritar gli animi, dividere la Camera, alienare da sé l’altra parte, mettere in iscrezio i lombardi coi piemontesi e giovare a coloro che cercavano ad intento fazioso di seminar la zizzania negli ordini dei liberali. La sapienza dell’uomo di Stato non consiste nell’ostinarsi a voler l’impossibile e nell'incorrere in mali certi e presenti per evitare gl’improbabili e remoti, ma sí nell’eleggere fra i vari inconvenienti il minore, antivedere i mali effetti dei contrasti inopportuni, distinguere i pericoli reali dagli apparenti. Ora né la casa di Savoia né la monarchia civile correvano alcun rischio, qualunque fosse la formola primitiva dell’unione e l’arbitrio della Dieta nel fermarne i capitoli. Imperocché le popolazioni lombarde delle cittá e del contado erano devote al principato, alienissime dalla repubblica, ed era follia il credere che, vinta la guerra, volessero esautorare il principe liberatore.

Io consultai di presenza su questo punto gli uomini meglio informati e piú autorevoli in Milano, in Brescia, in Cremona;