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236 del rinnovamento civile d'italia


la storia, svanisce la riputazione usurpata dai raggiratori saliti e tenuti in credito per qualche tempo dalle fazioni e dalla moda. La perizia politica consiste nell’antiveggenza, e questa non si possiede se non da chi conosce le leggi che governano le cose umane e non si perde nelle minuzie; onde coloro che non istudiano il mondo se non nei piati e nei tribunali, riescono nel governare gli Stati eziandio peggio di quelli che ci recano la pratica dei fondachi e delle officine.

I leggisti sono non pure utili ma necessari alle assemblee civili, dove in molte quistioni di amministrativa la professione li rende autorevoli e nelle legali sono i giudici piú competenti; oltre che, le abitudini curiali li rendono piú atti degli altri a presedere in un consesso e a dirigere, illustrare, riassumere le controversie parlamentari. Di giovamento e di merito non minore è l’odio che portano alle civili usurpazioni dei chierici e la lor vigilanza nel frenarle, tanto che per questo lato essi sono gl’interpreti piú accorti e i difensori piú costanti del genio e del giure laicale. I posteri ricorderanno con grata riconoscenza che la riforma piú importante di questo genere fu proposta da un giureconsulto e promossa principalmente dalla curia piemontese. Né anche io nego che per gli altri rispetti il Piemonte non abbia uomini accordanti la maestria del fòro con quella del governo e del parlamento; ma dico che non sono molti e che la ruina d’Italia derivò in gran parte dagli avvocati di questa provincia. Toccò alla penisola presso a poco la stessa sorte della Francia, quando i curiali le procacciarono l’invasione straniera e un avvilimento politico di tre lustri1. Giá assai prima il Buonaparte attribuiva agl’influssi forensi le vergogne del direttorio; e agli sdegni del còrso facean tenore in Italia quelli dell’astigiano, che fulminava l’«avvocatesca tirannide»2, la «licenza e insolenza avvocatesca»3 de’ suoi tempi.

  1. Nella Camera francese dei deputati del ’15 si annoveravano centoventi avvocati (Vaulabelle, Chute de l’empire, Paris, 1846, t. iii, p. 79, nota).
  2. Alfieri, Vita, iv, 28.
  3. Ibid., 19.