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libro primo - capitolo nono |
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piú alla forma che alla sostanza delle cose, moltiplicare le clausule e i temperamenti1 e cercar nelle frasi una precisione quasi matematica, anzi che contentarsi di ponderarle alla buona coll’uso pratico e colla convenienza che hanno verso il fine a cui s’indirizzano. Né questo amore dell’esattezza soverchia dá loro il vantaggio, notato dal Giordani nei giuristi latini, della sobrietá greca, essendo verbosi anzi che eloquenti2; perché la parsimonia e misura nel dire nasce dalla copia delle cognizioni, e quanto altri piú scarseggia d’idee tanto suole abbondare nelle parole3. Disprezzano il vario sapere, e specialmente la filosofia che ne è la cima, senza la quale (purché sia soda e degna del suo nome) si ha di rado una giusta notizia delle cose e degli uomini; nella qual disciplina gli antichi giureconsulti erano valentissimi. E non essendo avvezzi a pensare, sono piú atti a chiacchierare che a fare, piú a ritenere e ad impedire che a muovere, quanto fecondi di obbiezioni e di dubbi tanto sterili di partiti utili e di forti risoluzioni, come prolissi nel sentenziare cosí impacciati e timidi nell’eseguire. E nella esecuzione essi inclinano piú al tirato che al largo, piú al gretto che al grande, piú all’apparente che al sostanziale, piú a resistere fuor di proposito che a condiscendere saviamente, piú ad inceppare con mille pastoie che ad agevolare la libertá dei cittadini. E siccome l’intento delle operazioni è la riuscita, essi credono che a conseguirla bastino i maneggi e gli artifizi, riputando gran maestro di Stato e buon conoscitore degli uomini chi sa aggirarli e deluderli, senza avvertire che queste arti provano a tempo e non sempre, nei piccoli affari e non in quelli di rilievo, nella vita privata anzi che nella pubblica, pei successi immediati e passeggieri anzi che pei durevoli in cui pure è la somma del tutto, e che arbitro dell’avvenire è soltanto chi sa antivederlo e preoccuparlo. La fortuna di costoro può levare un grido momentaneo; ma a mano a mano che si studia bene
- ↑ Che in Piemonte con attica eleganza si chiamano «ammendamenti».
- ↑ «Sermonis nimius erat» (Tac., Hist., iii, 75).
- ↑ «Satis loquentiae, sapientiae parum» (Sall., Cat., 5).