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libro primo - capitolo nono 245


una risoluzione sí grave poté aver luogo senza che ne fosse informato il presidente del Consiglio? Tanto piú che essa fu la pratica puntuale delle sue dottrine, come giá vedemmo. Il Balbo aveva combattuto il mio parere e insegnato che il primo grado della lega dovea darsi al re sardo e non al pontefice, e l’indipendenza precedere la confederazione. Quando Pio nono udí questa negarsi, ne conchiuse che si volea mandare ad effetto anche l’altro capo e ne ebbe paura, come si raccoglie chiaramente dal passo citato del Farini. Certo l’errore di un uomo cosí leale e generoso come il Balbo non fu altro che d’intelletto; ma non è men vero ch’egli fu il principiatore di quella politica che tolse la vittoria alle nostre armi e la libertá a due terzi della penisola.

Il voto della Camera e la discrepanza insorta circa i termini dell’unione indussero il Balbo e alcuni de’ suoi colleghi a deporre la carica. Sottentrarono nuovi ministri; ed essendo io in quel frattempo tornato dall’Italia inferiore, il presidente Gabrio Casati mi fece offrire il portafoglio dell’instruzione. Pierdionigi Pinelli pubblicava in quei giorni uno scritto pieno d’insinuazioni velenose e maligne contro i delegati lombardi, i commissari, la parte prevalente della Camera e alcuni dei nuovi amministratori1. Ripatriato dopo un esilio di tre lustri, io non conosceva la maggior parte delle persone, avea piena fiducia nel Pinelli e ne’ suoi intrinseci; tanto che credetti bonamente che i nuovi rettori covassero concetti repubblicani e, consigliato dall’amico, rifiutai. Frattanto la fazione municipale divampava in isdegni contro i ministri e il parlamento: questo e quelli erano lacerati a stampa ed a voce. «Le arti adoperate dagli avversari — scrive Domenico Carutti — furono e prima e dopo il voto indegnissime: libelli inverecondi, urli osceni, scellerate minacce agli uomini che sostennero onoratamente la propria opinione nell’aula del parlamento»2. I piú accaniti non si appagavano di straziare colle penne e colle lingue, ma attizzavano la plebe a violare la libertá

  1. L’opuscolo testé citato.
  2. Rivista italiana, Torino, giugno 1849, p. 739.