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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/309

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libro primo - capitolo decimo 303


eravamo d’accordo. Forse anco essi avevano sperato di usufruttuar la mia penna a pro delle massime municipali (affidandosi a tal effetto nel mio screzio recente coi democratici) o di spuntarla e torle ogni credito colle provvisioni. Io avrei certo potuto accettarle senza disdoro come compenso delle fatiche e ristoro dei danni ricevuti dall’antico governo; ma le antecedenze e le circostanze dell’offerta nol consentivano. Cosí il doppio disegno andò fallito; e siccome il mio primo esilio era incominciato poco dopo la successione di re Carlo Alberto, cosí il secondo ed ultimo ebbe ragionevolmente principio col regno del successore1.



  1. Chi credesse che la persecuzione cessasse col mio nuovo esilio s’ingannerebbe. Siccome i municipali temevano il mio ritorno, cosí essi per piú di un anno attesero a screditarmi nei fogli pubblici con oblique e maligne insinuazioni. Il che non mi diede stupore: ben mi fece meraviglia che alcuni giornali di Toscana facessero tenore a quelli e dimenticassero che io era caduto due volte per amore della sua libertá. Né solo i municipali ma anche molti conservatori mi tenevano il broncio, non sapendomi perdonare la lega coi democratici e la guerra fatta ai ministri dei 19 di agosto. Essi non conoscevano che l’una e l’altra erano necessarie a mantenere il Risorgimento conforme alla sua natura e impedire che rovinasse. Credevano che i detti ministri fossero conservatori, perché fra loro risplendevano i nomi del Sostegno, del Perrone, del Lamarmora, del Santarosa, del Boncompagni; e non badavano che c’erano pure quelli del Revel, del Dabormida, del Merlo e del Pinelli. La qualitá di un governo si dee misurare non solo dalle persone ma dall’indirizzo; e nei paesi inesperti alla vita politica può succedere agevolmente che i meno aggirino i piú senza che se ne avveggano, massime quando i tempi che corrono sono difficili e straordinari. Ora che i fatti si conoscono e si riscontrano, è chiaro come il sole che il procedere dei ministri della mediazione fu affatto municipale, che commisero errori gravissimi e inescusabili, e che l’autor principale di essi fu il Pinelli che li reiterò nel ministero del marzo seguente. Ma allora la piú parte di questi fatti non era cònta al pubblico: la ragia del Pinelli, la sua incapacitá politica, la cupiditá e l’ambizione, le iterate perfidie e le ipocrite dimostrazioni di amicizia a mio riguardo, pochi le conoscevano; ond’egli poté venire in voce anche presso i galantuomini di uomo innocente, vittima delle fazioni, e riscuotere disusati favori dalla Camera, dai collegi e dal principe.
    Accennando gli andamenti dei rettori e conservatori subalpini a mio riguardo, prevaricherei il mio debito verso la veritá, la giustizia e la riconoscenza, se non aggiugnessi che fu molto diverso il contegno dei democratici. Se alcuni di loro mi serbarono una certa ruggine a causa dell’intervento toscano, altri, e non pochi, mi diedero prove di stima e di amicizia, facendo ogni loro opera per indurmi a ripatriare. Né anche tutti i conservatori si portarono nel modo dei prelodati; e ne fa prova il terzo collegio elettorale di Torino, che in me raccolse la maggior parte de’ suoi voti. Ma fra coloro che primeggiavano per autoritá e ingerenze politiche,