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304 del rinnovamento civile d'italia


Dell’amministrazione di Massimo di Azeglio, sottentrato al Delaunay, ommetterò per ora quella parte che è posteriore alla pace di Milano, giacché questa fu l’ultima mina del Risorgimento italico come impresa nazionale. Tuttavia la concatenazione delle idee e delle cose m’indurrá a toccare anticipatamente qualche poco delle cose appresso e come per incidenza. Né farò giá parola delle pratiche intorno alla pace, cercando se sieno state bene o mal condotte, perché le scarse informazioni che ne posseggo non mi permetterebbero di esserne autorevole narratore né giudice competente. Dico bene che quantunque fossero state guidate col maggior senno, potevano difficilmente riuscire, dappoiché si era dichiarato solennemente che «le sventure e gli errori passati aveano resa la guerra impossibile»1. Strano preludio era questo: ché guerra impossibile e pace onorevole fra loro ripugnano, e chi annunzia l’una delle due cose rinunzia necessariamente all’altra. Né a ciò riparava l’aggiungere che «era ugualmente impossibile il disonore»2 , perché lo accetta e nol rifiuta chi si riconosce impotente a sottrarsene. Che cosa si direbbe del comandante di una fortezza assediata, il quale, desiderando di capitolare onorevolmente, si pubblicasse costretto alla resa perché privo di munizioni? Il procedere troppo alla buona e col cuore in palma di mano è fuor di luogo coi nemici avidi, ingenerosi, potenti; né il secolo decimonono è quello dei patriarchi. Non dico per questo che si debba fingere e mentire; ma senza incorrere in questa nota, si potea dichiarar non solo possibile il combattere ma sperabile il vincere, imperocché la guerra, che avrebbe inchinato il

    tutti mi si mostrarono indifferenti o nemici; tutti, dico, salvo un solo, cioè il conte Lisio. Se debbo credere a persona degna di fede, mentre tutti mi davano addosso, egli parlò di me in termini onorevoli al nuovo principe e gli disse che la politica di cui facevo professione poteva ancora salvar l’Italia. Io non ebbi mai intrinsechezza col Lisio, ma nel breve spazio dell’amministrazione di Gabrio Casati potei conoscere la nobiltá del suo animo e l’altezza de’ suoi pensieri, e mi è dolce il ricordar questo fatto a pubblico segno di gratitudine.

  1. Massimo d’Azeglio a’ suoi elettori, Torino, 1849; Histoire des négociations etc. p. 55.
  2. Ibid.