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capitolo decimoquinto 163


orecchi, come il re assiro, agli annunzi fatidici, e non veggono che, quando il salire è colpa, la fortuna è pena e la caduta precipizio. I terzi giá scontano i loro peccati in molte, ma baldanzeggiano ancora in una parte d’Italia e stimaho forse che Iddio gli abbia dimenticati. Quando essi commisero l’abbandono d’Italia in prò del Piemonte, non prevedevano certo che, riducendolo alla solitudine di un lazzaretto, gli toglieano quel massimo bene che presidia gli altri, cioè la sicurezza; ma ora i piú oculati giá incominciano a temere per quelle instituzioni che credettero di assodare immolando alla provincia la patria. Ma il popolo piemontese fu innocente di tanto misfatto; e le sostanze sprecate indarno, le vite spente di tanti generosi ci fanno sperare che il castigo non sará suo. Allora i municipali vedranno quanto vani e fugaci sieno i frutti della cupidigia e come mal si fecondi il suolo domestico col sangue sparso e colle lacrime della nazione.

Giova però aprir l’animo a piú lieti pensieri. E lo statuto subalpino c’invita a farlo; il quale è il solo avanzo superstite del Risorgimento italico, come la costituzione repubblicana, ridotta a essere piú in apparenza che in effetto, è l’unico residuo della rivoluzione francese del quarantotto. Ma queste due reliquie sono pur preziose, come germi vivaci e vincoli del moto passato coll’avvenire, verificandosi in essi quella legge storica, secondo la quale ogni gran mutazione, che torni vana per difetto degli operatori, lascia tuttavia un addentellato per cui si collega coi casi futuri, li pronunzia e gli apparecchia. Onde non so se piú tristi o dementi sieno coloro che per odio del principe o del principato vorrebbero accomunare al Piemonte la sorte delle altre provincie. Ma ancorché gli ordini liberi ci venissero meno, non ne perirebbero però tutti gli effetti, non si cancellerebbero le impressioni, le abitudini, i vantaggi che nacquero per tal provincia e in proporzione per l’altra Italia da qualche anno di possesso o di esempio civile. Grave errore sarebbe il credere che i progressi dei popoli, benché interrotti dalla violenza, sieno inutili. Non vi ha una gocciola di sudore o di sangue versato che non frutti coi tempo; tanto che nulla è affatto sterile, nulla perisce onninamente nel mondo sociale o nel giro