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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/20

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16 del rinnovamento civile d'italia


nostra, alla quale le stesse istituzioni liberali non si confanno se non sono indirizzate al bene del maggior numero1.

La nostra Dichiarazione infatti dovea dissipare i sospetti che i municipali aveano sparsi e chiarire la lealtá e la saviezza delle nostre intenzioni; laonde, se non poté lenire i municipali sardi, fu applaudita da tutta Europa. Per rimuovere dall’assisa democratica ogni colore fazioso, era d’uopo disgiungerla dalla demagogica e fare in termini formali ripudio di questa. «Levando l’insegna della democrazia e chiamandola conciliatrice, legale, desiderosa di abbracciare tutte le classi e di stringerle al seno, l’abbiam distinta da quella larva che ‛demagogia’ si appella ed è la sua maggior nemica. La democrazia, o signori, differisce tanto dalla demagogia quanto la libertá dalla licenza e il civil principato dal dominio dispotico. E il suo carattere particolare



  1. «La setta medesima che avea creati i ministeri di Firenze e di Roma portava al potere quel di Torino. Un’opposizione attiva, d’accordo, compatta, ma piena di cavilli, scalzava a poco a poco il ministero Pinelli ed alla fine, coi chiassi della solita compagnia di perturbatori girovaghi venuta a Genova a quest’effetto, l’abbatteva» (ibid., p. 36). La vera «setta» che «creò i ministeri di Firenze e di Roma» e diede facoltá ai «perturbatori girovaghi» di sollevar Genova, furono i municipali di Torino e i fautori della mediazione, cioè il «ministero Pinelli», senza il quale i puritani non sarebbero meglio riusciti allora che in addietro, mancando loro ogni specioso pretesto di muovere le popolazioni. Io l’avea prenunziato assai prima che gli eventi confermassero le mie ragioni; onde il Pinelli non ha pure la scusa dell’ignoranza. Il «ministero democratico di Torino» non fu «portato al potere» da alcuna «setta», ma dalla saviezza e italianitá della politica che professava non meno che dagli errori massicci del precedente. L’opposizione piemontese non iscalzò nessuno, ma pose schiettamente in luce l’inerzia e l’insufficienza del «ministero Pinelli», il quale fu, a dir proprio, il principale artefice della sua caduta. I «cavilli» furono adoperati non mica dall’«opposizione», che usò sempre un linguaggio dignitoso e franco, ma dal Pinelli, il quale, promettendo l’unione, l’autonomia, la razionalitá e la lega italica colle parole, attese colle opere a stornarle. E ai cavilli taluno aggiunse arti subdole sia per sottentrare ai ministri anteriori, sia per sostituire all’aiuto francese la mediazione. L’Azeglio non era certo informato di queste brutture e, come assente, giudicava dei fatti secondo i romori dei municipali; ma io mi debbo dolere che, conoscendo i miei scritti, abbia potuto credermi di animo debole e incostante e non siasi almeno indugiato prima di condannarmi. Vero è che dopo la nostra Dichiarazione egli emendò nobilmente l’errore con una lettera amichevole e gentile, che mi scrisse dalla Spezia in data dei 18 di febbraio del 1849; ma per mala sorte la tarda giustificazione fu privata e non poté riparare al danno fattomi presso alcuni dalla pubblica accusa.