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238 | del rinnovamento civile d’italia |
ragione, giacché ogni legittimo imperio dell’uomo sugli uomini, essendo ordinato al loro bene, non può essere che servitú1. Cosicché se, avendo riguardo ai tempi primordiali e barbarici, si può dire che i re creassero i popoli, il contrario ha luogo nell’etá nostra, e i popoli ci fanno e disfanno i re. Le abitudini adunque, le memorie domestiche, le tradizioni di reggia e di regno, il ragguaglio tra il freno presente e l’onnipotenza antica, la tendenza naturale di ogni potere ad ampliarsi ed eccedere, tirano di continuo i principi dal civile all’assoluto e gl’inclinano a trapassare i limiti che circoscrivono la loro giurisdizione. Ciascuno di loro è, per cosi dire, immedesimato in mille modi con uno stato vecchio di cose affatto alieno da quello che oggi regna, e quindi propenso a risuscitar le anticaglie; onde nacque che i primi Borboni di Francia abbracciarono i gesuiti, causa potissima della loro caduta, e il re odierno di Prussia vorrebbe rimettere in vita i signoraggi feudali del medio evo. Anche quando non s’inducono a violar gli statuti, ne turbano ed alterano in mille modi l’esecuzione cogl’influssi illegali, colle cariche, coi doni, cogli onori, governandosi in queste distribuzioni col capriccio, che è un male comune ai grandi e ai principi anche buoni. Eleggono per amministratori, legati, capitani non i piú capaci ma quelli che van loro piú a genio, come fece Carlo Alberto che rovinò la patria e se stesso coi ministri della mediazione anglogallica e della rotta novarese. Né queste e simili ripugnanze tra gli ordini costituzionali bene intesi e coloro che ci occupano il primo grado è vizio raro e caso insolito, essendo oggi comune piú o meno a quasi tutte le monarchie temperate di Europa.
Il mal vezzo è inoltre avvalorato da due cagioni, Luna esterna e l’altra interiore. Imperocché se s’incontra un principe buono e inclinato per natura a reggersi civilmente, egli è difficile che non sia guasto dall’esempio e dai consigli degli altri principi,
- ↑ Matth., xx, 25, 26, 27; Marc., x, 42, 43, 44. «Nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superioritá d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio» (Manzoni, I promessi sposi, 22).